domenica 11 gennaio 2009

è tutto molto accardiano

Quando mi chiedono di raccontare la mia esperienza di lavoro nella praghesia e molto onestamente gliela racconto, tutti commentano che è molto kafkiana. Io, che di Kafka ho letto solo la metaformosi nell'antologia della scuola media e per colmare l'ignoranza mi sono fatta portare Il Processo da Chiappara quando è venuta a trovarmi ma dopo la prima pagina ho ripreso a leggere La storia dei trattori in Ucraina, non so bene cosa significa kafkiano ma credo sia uguale ad accardiano: illogico, senza senso.
Mi chiedono: Che lavoro fai? E io: lavoro alla Galleria Nazionale. E tutti: Oh, figo. E che fai? Disegno. Cosa? Disegno. Ero interessata ai workshop e la mia referente ha detto che potevo essere di molto aiuto. Sono andata lì - era un laboratorio di pittura - nessuno sapeva che dovevo andarci, parlavano in ceco e disegnavano. Io ero seduta su una sedia e li guardavo disegnare. Ho chiesto all'insegnante se potevo scattare delle foto, come documentazione. No, mi ha risposto. Stai tranquilla e siediti. Il secondo workshop era pure di pittura ma cubista. L'insegnante prima ha fatto fare un tour della mostra cubista - non si è posta il problema che io avessi bisogno di una traduzione - e poi ha lasciato come compito di fare un dipinto. Una signora bionda vedendomi ciondolare spaesata mi ha messo un foglio e un pennello in mano e mi ha fatto spazio sul tavolo. Dovevamo lavorare in coppia e farci il ritratto reciproco. C'erano tempere, acrilici, pettini rotti, cartoni, sabbia. Gli altri sapevano il fatto loro, io andavo a muzzo. Copiavo la signora che però stava ritraendo me e quindi non potevamo fare le stesse cose. L'insegnante mi ha detto: Mari, il tuo quadro è bellissimo, ma forse devi colorarlo un pò meglio. Però è bellissimo, davvero. Alla fine abbiamo fatto una specie di esposizione delle nostre opere. Io ho pensato bene di nascondermi dietro l'attaccapanni e far finta di niente. L'insegnante non mi ha cercato.
Ieri dovevo andare a un lavoratorio di fotografia. Vado all'indirizzo che mi ha dato la mia referente. Dico ai guardiani che sono venuta per il workshop e si mettono a ridere. Era da un'altra parte. Poi sono venute delle persone che mi guardavano e ridevano senza motivo. Vaffanculo, ho pensato, non ci vado. E sono andata a comprarmi dei souvenir nel quartiere ebraico, dove ho trovato la matrioska di Micheal Jackson che Costanza tanto voleva ma che costava 20 euro. Vaffanculo, pensavo. Voglio essere un'adulta e avere una vita regolare: un marito, una casa, un lavoro, una macchina e un cane. Mi va bene anche un fidanzato, una roulotte e un cane. O solo un fidanzato e un cane. O anche un cane a sto punto. Insomma, pensavo che volevo essere adulta. A teatro scrivo date su dei pezzetti di carta che non so a che serve. Alla rivista incollavo pagine su un cartellone che non so a che serve. Quelli della fabbrica abbandonata dove dovevo lavorare all'inizio di questa mia avventura mi hanno chiamato tre giorni fa mentre vomitavo dopo aver bevuto vino e rum , vino e rum a casa di Katerina, chiedendomi se già lavoravo per loro. E io con la voce impastata ho detto che avevo fatto il colloquio mesi fa e che poi se n'erano scordati. E loro: Happy New Year.
Sono andata alla mostra che c'era in questo posto e ho visto un orsacchiotto coperto di merda. Gli artisti avevano i capelli ingellati come nella pubblicità della Garnier, i completi eleganti con le scarpe da tennis a strisce gialle e verdi, la sigaretta col bocchino e carezzavano l'orsacchiotto. E' stato meglio che non mi hanno chiamato. Magari mi avrebbero fatto pulire l'orsacchiotto o ingellare qualcuno. Mentre tornavo a casa da uno di questi pomeriggi kafkiani notavo che i pazzi che ci sono qui non sono i soliti vecchi come a Palermo o a Torino, ma più che altro i giovani che non sono nè drogati nè niente, solo pazzi. C'era uno che faceva avanti e indietro nel corridoio della metro, Scendeva alla fermata e risaliva da un'altra parte. Un altro voleva estirpare la poltrona. Alle stazioni, mentre aspetti, ci sono degli schermi dove proiettano dei cartoni tipo south park con le regole di un rispettoso uso della metro. In uno ci sono due balordi con la bottiglia in mano - uno con la panza ben delineata - che offrono da bere a una neonata. Non si fa. In uno ci sono due viaggiatori con lo zaino ingombrante che schiacciano una tipa mingherlina. Non si fa. In uno ci sono dei tifosi con le mani alzate che gridano Ale Oo che schiacciano la stessa mingherlina, che però anche lei fa ale oo e quindi non si capisce. Comunque non si fa. Si sono scordati di mettere che in metro non si scopa. Non si sa come mai ma la metro fa eccitare i praghesi. Le coppie arrivano senza manco mano manina e iniziano a slinguazzare. Dove ti giri ti giri tutti si toccano o slinguazzano. Tutti. Lo fanno anche in tre. Qui va di moda l'uomo col ciuffo accompagnato da due squinzie tigrate. Giulia l'architetto dice che quando ha fatto l'erasmus in germania ne ha viste di tutti i colori soprattutto tra gli spagnoli. Che gli spagnoli sono molto avanti in queste cose. Per me va bene tutto ma davanti a me no. Davanti a me solo disegni cubisti.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

S T R A O R D I N A R I O

Devi pubblicare subito: Mari Accardi, "Quaderni praghesi", ma subito! Io e Rama ti scriviamo l'introduzione, oppure se preferisci la facciamo scrivere da Claudia, Picci e Nico, vedi te. Comunque io spero che quei venti euro li hai spesi per la matrioska o ti prego di non tornare mai.

Anonimo ha detto...

se vuoi pubblicare i "Quaderni praghesi" usa http://www.lulu.com/it oppure http://ilmiolibro.kataweb.it

ciao

Anonimo ha detto...

Quando ero piccolo e i controllori mi beccavano senza biglietto sugli autobus dicevo che avevo l'abbonamento nel portafogli che naturalmente avevo lasciato a casa insieme alla carta d'identità. Ci credevano sempre e allora mi chiedevano come mi chiamavo per farmi arrivare la multa a casa e io rispondevo sempre Simone Accardi. Direi che questo è abbastanza accardiano.